Qui di seguito vengono riportate alcune considerazioni teoriche a cui si è sempre cercato di mantener fede anche se le difficoltà di gestire un cantiere, dove non fosse presente il gruppo di lavoro RECUPERANDO: Restauro & Conservazione, ha spesso portato a soluzioni parziali o non pienamente ascrivibili a quanto previsto nelle note teoriche, stando la difficoltà da parte di molti operatori e committenti ad accettare la realtà piena di un restauro conservativo.

In modo particolare si è sempre avuta una difficoltà a far accettare il mantenimento di un carattere non organico dell'intervento quasi che la "vetustà" dignitosa di un edificio con tutte le sue pecche fosse un problema: in modo critico si potrebbe pensare che tale paura sia insita della volontà di nascondere la propria inadempienza nella vera manutenzione e conservazione dell'edificio.

Molti committenti, assecondati spesso dai restauratori, dopo che hanno contribuito con la loro imperizzia ed il loro disinteresse al danneggiamento di un Bene Monmumentale preferiscono che vengano cancellate le prove di questa loro manchevolezza: forse la difficoltà in cui "annaspa" la logica conservativa dell'intervento di restauro deriva proprio da una volontà di rimozione del proprio cattivo operato da parte di alcuni soggetti coinvolti.

Il contributo riportato di seguito ed accompagnato da alcuni esempi realizzati vuole essere uno stimolo per non aver paura della vecchiaia di un Bene Monumentale che come quella umana può illuminare e meglio guidare verso una società migliore.

Introduzione
Ogni qualvolta si esegue il restauro di un bene monumentale si tratta, non solo di procedere ad una mera sequenza di operazioni, ma anche di fare il punto sullo stato dell’arte.
In questa relazione pertanto si cercherà di approfondire quanto oggi si sta facendo intorno alla complessa materia del restauro architettonico.
La prima parte sarà quindi un breve excursus sulla teoria del restauro con alcuni accenni alle ultime ricerche condotte sulla conservazione e sugli studi preliminari all’intervento.


Teoria del restauro
Un intervento di restauro viene generalmente condotto, secondo un’accezione comune, su quello che noi chiamiamo opera d’arte: per questo motivo la sua definizione risente profondamente dell’interpretazione che si dà di questa voce.
Allo stato attuale per opera d’arte si intende uno speciale prodotto dell’attività umana che diventa tale in seguito ad un meccanismo  di singolare riconoscimento che avviene nella coscienza. Questa assunzione di conoscenza individuale dell’opera d’arte avviene sia che si parta da basi filosofiche sia che la si guardi da basi meramente pragmatiche e a questo proposito si guardi l’attenta disanima del termine fatta da J. Dewey in “Art as experience”.
Nell’accezione del termine si può affermare che l’essenza dell’opera d’arte, in quanto riconosciuta tale da un processo mentale di dis-velamento e di interiorizzazione ed in quanto opera dell’essere umano in un determinato periodo storico, possiede due istanze: una di tipo estetico che le deriva dal fatto di possedere quell’artisticità che le è stata riconosciuta, l’altra di tipo storico che le deriva dall’essere documento di un certo tempo, di un certo luogo e che si trova in un certo luogo presente.
Per questo motivo la conoscenza dell’opera d’arte ha perso quel suo carattere di assoluta certezza e ri-conoscibilità secondo cui nascondeva un precisa verità che andava dis-velata, per acquisire un carattere di “consapevolezza delle possibilità” frutto di un nuovo sapere scientifico di tipo prettamente relativistico (1).
Dal punto di vista dell’istanza storica e riallacciandosi al discorso di tipo relativistico introdotto poc’anzi è utile fare una piccola parentesi sull’aspetto storiografico della vicenda umana.
L’aspetto di documento – monumento dell’opera d’arte ha subito negli ultimi anni un processo di “democratizzazione” che nell’ambito del nostro intervento diventa molto importante.
Per gli storici antichi i fatti che producevano la storia erano indissolubilmente legati ai grandi eventi, compiuti dalle grandi personalità storiche, generalmente riconducibili alle classi dominanti delle varie epoche.
Sul finire degli anni ’60 del secolo scorso trova compimento un processo di “riscoperta” della storiografia minuta o come la chiama Braudel (che teorizza questo nuovo tipo di storiografia) della necessità di studiare quella “civiltà materiale .. le storie silenziose e quasi obliate degli uomini … il cui peso fu immenso e il rumore appena percettibile" (2).
Da questo postulato ne discende la necessità di approfondire una storiografia di settori e limitata a tutta una serie di eventi, anche minori, che non necessariamente hanno cambiato il mondo, ma che sicuramente hanno impresso una svolta per quel determinato modo di vivere.
Dal nostro punto di vista tale approfondimento non inficia il concetto di opera d’arte, per la definizione che ne abbiamo dato nelle righe precedenti, ma ne amplia il senso.
Oggi al di là dell’avvenuta percezione cosciente dell’opera d’arte, che resta sempre fattore essenziale dell’artisticità, l’istanza storica insita in tale definizione si allarga ed abbraccia elementi fino a poco tempo fa considerati “sottofondo”.
Anche il restauro di quelle opere sparse su un territorio, trovano in queste affermazioni valore di riscoperta e conservazione di quel “rumore di fondo” a cui tutti noi sentiamo di appartenere.
Si intende quindi per restauro “il momento metodologico del riconoscimento dell’opera d’arte, nella sua consistenza fisica e nella sua duplice polarità estetica e storica, in vista della sua trasmissione al futuro”(3).
La necessità del restauro di un qualsiasi bene è quindi riconoscimento implicito del suo essere artistico in un meccanismo di reciprocità tra i due fattori.
Nel caso dell’opera d’arte il restauro agisce sull’elemento materico di un bene per dis-velare e trasmettere il messaggio artistico che su di esso ha trovato forma.
L’intervento di restauro andrà quindi sempre compiuto sull’aspetto materico dell’opera e dovrà essere guidato dalla consapevolezza che andrà salvaguardato l’aspetto estetico nella sua duplicità artistica e storica.
Alla base di tutte le discussioni sul restauro di un bene rimangono sempre le definizioni date in precedenza a cui si deve aggiungere la necessità di preservare l’unità dell’opera d’arte senza commettere un falso storico o cancellare il passaggio del tempo (disamina sulle patine storiche).
Ai fini della conservazione e della trasmissibilità del messaggio artistico insito nell’opera d’arte si configura  una serie di corollari in base ai quali operare sull’aspetto fisico del bene.


Dal restauro alla conservazione
- Conservazione e restauro due aspetti dello stesso problema
A questo punto della disamina sul fare restauro è necessario introdurre un altro concetto che viene il più delle volte confuso con quanto sopra detto, ma che in realtà parte da basi nettamente diverse, compie una strada propria e solo in tempi recenti trova collocazione in un discorso generale.
Stiamo parlando della conservazione ossia di quella serie di interventi protratti nel tempo (a differenza del concetto di restauro che invece è di tipo puntuale) con lo scopo di preservare il degrado del bene in un ottica più strettamente romantica del concetto di monumento e per questo molto più vicina alle teorie di Ruskin sul concetto di ruderizzazione dell’opera d’arte. (4)
Per parlare della conservazione è utile, prima di tutto, introdurre un breve accenno alla storia del progetto ed in particolar modo del progetto di restauro.
Nel corso dell’ottocento il progetto di restauro era inteso come una parte del più generale progetto ex-novo ed in tale accezione sottostava a tutte le generalizzazioni che in esso trovavano riscontro.
In particolar modo esso risentiva dell’approccio oggettivistico alla conoscenza secondo cui esisteva una verità (a volte storica, a volte estetica) che andava semplicemente messa in luce.
In questa concezione il progetto era solo il fine ultimo in cui trovavano rispondenza le scelte progettuali fatte dall’architetto filologico o critico.
Da questo punto di vista il progetto si limitava ad una serie di elaborati che servivano esclusivamente a descrivere il risultato finale del lavoro di restauro propriamente detto.
Il progetto del restauro non era un mezzo per la conoscenza del bene oggetto di intervento, ma il momento di passaggio tra la conoscenza elaborata in altre sedi e la realizzabilità tecnica finale.
Il progetto poteva in questa accezione essere, al più, la descrizione di determinate lavorazioni o il supporto alla descrizione che veniva fatta alla committenza.
In questo modo il rapporto tra il progettista conoscitore del bene e la materia dello stesso era di tipo monodirezionale e staticamente fissata in un dato momento: l’attimo dell’intervento.
Questi concetti cominciarono a declinare quando il repentino sviluppo della tecnica mise a disposizione degli operatori una tale mole di dati conoscitivi da rendere impossibile una fissazione statica del momento euristico.
Il progetto non è più quindi un momento di riconoscimento di una verità oggettiva, ma la sede di elaborazione di una “possibile” conoscenza del bene di tipo soggettivistico.
L’intervento di restauro diventa quindi una scelta ben precisa nel novero di una infinità di possibili soluzioni.
In quest’ottica il progetto diventa la sede in cui si esplicita questa conoscenza soggettiva e le cui risultanze saranno poi le operazioni compiute sul bene materiale.
Il progetto non procede più in modo uni-direzionale, ma diventa una matrice aperta in cui il dialogo continuo tra il progettista e la conoscenza del bene trovano sviluppo sulle pagine delle relazioni e sui grafici di studio.
Per questo motivo il restauro ha bisogno di un ampio approfondimento conoscitivo, possibile solo con il ricorso ad una molteplicità di soggetti specializzati che trovano nell’architetto progettista il punto di contatto e di sintesi in vista di una traduzione materica sull’oggetto.
In questo senso il progetto di restauro ha recuperato il gap iniziale con l’uso di tutte quelle nuove teorizzazioni che si andavano facendo negli altri campi del sapere.
Attraverso la consapevolezza della necessità di conoscere il bene per “giustificare” una scelta progettuale si è schiuso al progetto di conservazione un mondo di conoscenze vicine alla pratica edilizia e ridefinito la dicotomia conoscenza – intervento, di natura ottocentesca, in conoscenza – progetto – intervento, dove progetto è il luogo di dialogo continuo delle scelte fatte con lo studio di un dato bene.

A differenza del concetto di restauro il concetto di conservazione si è mosso in modo del tutto autonomo.
In questa contrapposizione di fondo la teoria della conservazione ha sempre dovuto trovare all’interno della sua disciplina i modi operativi per poter eseguire un intervento su un manufatto.
Il progredire degli studi sulla disciplina, di pari passo con l’affinamento delle tecniche di realizzazione, ha ridefinito il concetto stesso di progetto applicato alla conservazione arrivando a definirlo con un luogo di scambio dicotomico tra la conoscenza dell’oggetto e la prassi di intervento.
In questo senso i modi di progettare un intervento di conservazione non possono essere disgiunti dai modi di progettare in una “critica” continua dello stesso meccanismo procedurale.
A differenza del progetto di restauro il progetto di conservazione si pone come un momento di elaborazione di un fare progettuale che deve essere costantemente mantenuto in vita nel suo rapporto con l’oggetto ed al contempo essere sempre soggetto ad una critica continua anche del suo “farsi processuale”.
Il progetto di conservazione è un continuo aggiornamento di se stesso e si configura come una matrice attiva in cui ogni intervento diretto sull’oggetto non solo modifica il bene, ma anche le fasi del farsi progetto e la sua natura stessa: ogni dato acquisito permette di dare un nuovo senso al progetto. Quest’ultimo quindi va ripensato dall’inizio in quanto ogni lavorazione sul bene aggiunge dati che devono entrare nella ri-redifinizione della prossima lavorazione. Si definisce così un ciclo che si autoalimenta di conoscenza – conservazione – conoscenza che accompagna sempre il bene nella sua esistenza.
La stessa matrice procedurale di traduzione in esecuzione della conoscenza tramite la conservazione va continuamente aggiornata alla luce delle nuove conoscenze dell’arte e del bene.

Di seguito si riportano riflessioni teoriche svolte in merito a casi specifici con una raccolta iconografica di quanto realizzato per dimostrare che, almeno in parte, è possibile seguire quanto progettato.

L’unità dell’opera d’arte ed il problema della lacune
Il problema delle stratificazioni storiche
La questione del riuso

La questione dell’intorno
Il problema degli interventi strutturali

La conservazione formale - materica delle tecniche compositive: la conservazione delle volte in incannucciato


Il problema della pulitura delle croste nere e dei trattamenti delle facciate



NOTE:
(1): E. Morin, LA CONOSCENZA DELLE CONOSCENZA, Feltrinelli Milano, 1989
(2): F. Braudel, CAPITALISMO E CIVILTA’ MATERIALE (secoli XV-XVIII), Einaudi, Torino, 1977
(3): C. Brandi, TEORIA DEL RESTAURO, Einaudi Torino, 1997 - 2000
(4): J. Ruskin, LE SETTE LAMPADE DELL’ARCHITETTURA, Ed. Jaca Book, Milano 1981

 

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